Frustrazione


L a consapevolezza ci abbatte perché ci fa rendere conto delle nostre azioni, di quanto siano inutili, dell’enorme lavoro che ancora c’è da fare; la consapevolezza ci aiuta a raccogliere anche le ultime briciole di forza per andare avanti, a scovare l’energia necessaria a fare quel passo in più, quell’atto necessario a mettere un mattone, fosse anche solo uno, che va a far parte della costruzione democratica di cui un paese ha bisogno.
L’inconsapevolezza ci rende felici di quel poco che abbiamo, incuranti dell’esito delle nostre e delle altrui azioni; l’inconsapevolezza ci dona lo spensierato vivere fino alla finale caduta nel baratro che ci attende, ignari del fatto che si sarebbe potuta fare anche una minima cosa per evitarlo, ma vivere nell’inconsapevolezza è stato troppo bello, e abbiamo reso la nostra vita misera ed inutile per un attimo di gioia effimera.
La consapevolezza ci fa arrabbiare quando ci accorgiamo che fino a quel momento non ci siamo impegnati, battuti, spesi abbastanza per collocare anche una minima reazione a favore di un mondo più giusto; la consapevolezza che siamo stati indifferenti ci getta nel buio della nostra inutile vita, ma, la consapevolezza ci da la forza per cambiare, ci indica la via, ci fa compiere atti che fino a quel momento neppure ci saremmo sognati, nell’inconsapevolezza del vivere.
La consapevolezza rompe l’incanto che l’inconsapevole vive con pienezza, cieco al dolore, all’ingiustizia al divario sociale che lo circonda, lo rende partecipe, non più indifferente; oppure lo amputa così profondamente della gioia di vivere da farne una larva, lo priva di qualsiasi energia e lo scaraventa nell’inferno che lo circonda, impietosamente; quell’inferno dove molti altri consapevoli tentano di spegnere le fiamme, si bruciano... assieme agli inconsapevoli, perché anche se non hanno compreso quello che succede periscono allo stesso modo, ma con una dignità diversa, meno partecipe e con un’espressione di sorpresa sul viso.
L’inconsapevolezza per le persone è come il latte per il neonato, è difficile staccarsene, è una droga, si vive meglio se non si fa caso a certe cose, se le si ignorano. Tuttavia, per alcuni, la consapevolezza entra senza bussare, prepotente scuote la coscienza e ti dice che ora o fai qualcosa o muori. Chi invece ha piena coscienza e perpetra il male ha una coscienza diversa, drogata dal potere, dalla smania di sopraffazione, vive un altro tipo di inconsapevolezza, quella della sociopatia; non conosce altra gioia se non quella del proprio potere, nulla lo spaventa ed è disposto a fare qualsiasi cosa per affermarsi, questo vale sia su piccola che su larga scala; queste persone sono molto pericolose e difficili da individuare perché dissimulano molto bene, ed in genere sono molto furbe; quando acquisti consapevolezza di averne una accanto può essere troppo tardi, così come è arrivata molto tardi, per tantissime persone, la consapevolezza di avere come classe politica una manica di corrotti per di più incompetenti.
Il tempo dello sconforto, una volta acquistata consapevolezza,  va lasciato alle spalle quanto prima, per accelerare la collaborazione in attività con altre persone consapevoli determinate a migliorare lo stato sociale, va condotta una vita tesa alla proposizione ed a far consapevolizzare altri, amici, conoscenti, vicini e lontani.
La consapevolezza di non poter vincere non abbatte perché, una volta intrapresa la via, siamo consapevoli che le grandi cose si fanno un passo alla volta, e se non si comincia non si arriverà mai a destinazione; la consapevolezza di dare ad altri, in futuro, un percorso per un mondo migliore, ci getta nella gioia dell’inconsapevolezza del fatto che tanto sarà tutto inutile, che la memoria storica è un’illusione, che stiamo perseguendo un’Utopia; Utopia destinata a rimanere tale grazie all’inconsapevolezza di chi, drogato dal benessere, continua la sua vita infischiandosene alla base, costretto in un giogo che ignora, ma felice di quel poco che ha. Mentre tutto, attorno a lui, brucia, soffre, si ammala, decade e getta ogni cosa in questo inferno dell’umanità, dove ogni aspirazione è sublimata e delusa, dove il 99% delle persone dà la propria esistenza per arricchire il restante 1%. Consapevoli di dover fare qualcosa ma inconsapevoli di che cosa; inconsapevolezza del consapevole e inconsapevolezza della vita. Prepotente è la domanda.
Chi si rende conto che qualcosa non va in alcuni casi rifugge il problema per lo sconforto e diventa fatalista; in altri casi si arma di volontà e pazienza e cerca dei rimedi allo stato delle cose. Cominciamo da quest’ultimo genere di persone. Quello di opporsi alle ingiustizie è un bisogno che taluni sentono, e questo li avvantaggia rispetto a chi diventa fatalista. Il fatalista è più debole psicologicamente, è emotivo, ma va aiutato ed indirizzato, per fare in modo che non cada più preda delle trappole che la vita che ci fanno condurre ci pone innanzi. Purtroppo l’argomentazione che “siamo tutti nella stessa barca” non funziona; occorre adoperarsi per farla rendere partecipe a quanta più gente possibile, intercettando chi ha voglia di mettersi in prima linea in questa lotta senza speranza. La consapevolezza di un obbiettivo comune è quanto di meglio per far aggregare le persone, ma l’inconsapevolezza che tanti hanno su tematiche e sui problemi che toccano anche loro, è talmente diffusa da rendere lo sforzo sbilanciato a favore di chi trae vantaggio dalla divisione; nell’ipotesi in cui una buona fetta della popolazione, diciamo un terzo, si dovesse coalizzare per il raggiungimento di pochi ed essenziali obbiettivi, l’élite che ci impone questa vita meschina verrebbe spazzata via in pochi giorni. Per quanto mi riguarda, basterebbe questo argomento a convincere una persona matura e moralmente sana ad opporsi ed a combattere, con le armi della democrazia e della non violenza.
Eppure vediamo, tutti i giorni, lo stesso trantran, il ripetersi del carosello, si continuano a fare le stesse cose, programmati ad hoc per non reagire, a chiudere gli occhi ed a giudicare chi si oppone come “violento”, non considerando i motivi delle proteste e di chi brandisce un manganello, non considerando il filtro enorme che i media mettono nel trasmettere quelle immagini; o più semplicemente avendone un terrore tale da farcene allontanare invece di approfondire, quindi, acquisirne consapevolezza.
È brutto essere consapevoli? Sì. Perché si smette di vivere nella propria gabbia dorata, si va incontro a delusioni e ci si rende conto che c’è tanto lavoro da fare, senza pace.
È bello essere inconsapevoli? No. Perché quando poi arriva il momento, ed arriva sempre, il tonfo e grande, ed è proporzionato al tempo che si è rimasti inconsapevoli. Si può anche perdere se stessi, e con se stessi, la vita.