Con le
promesse di lavoro, negli anni passati, il mercato ha assicurato, per gli anni
seguenti, il degrado ambientale; con la scusa del progresso tecnologico, si
sono avvallate politiche di sviluppo che non tenessero in conto, se non con
espedienti falsamente interessati, della salvaguardia ambientale, per di più
non si è voluto proseguire sulla strada della tutela del lavoratore,
naturalmente a vantaggio di un mercato sempre più liberalizzato, al punto di
arrivare a configurare le persone come merce: “risorse umane”.
Le regole del
mercato sono regole che non tengono minimamente in conto del loro impatto sulla
vita in generale ma, queste regole, si fondano unicamente sul profitto, sulla
convenienza cioè, che una determinata azione può avere per chi la compie, nel
disinteresse totale verso chi o cosa è al di fuori di questa logica. La logica
del profitto.
Ci stiamo
facendo dominare da qualcosa che non rispetta ne la natura umana ne la natura
in generale; figuriamoci se può rispettare le idee di progresso legate al
benessere collettivo, che sono indissolubilmente legate alla salvaguardia
dell’ambiente e della vita. In buona sostanza, il mercato è l’antitesi, questo
per sua intrinseca natura, di ciò che può avvicinarsi al concetto di buon senso.